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SANGUE

con 6 detenute del reparto di alta sicurezza della Casa di Reclusione di Vigevano

sei Agenti di Polizia Penitenziaria

musiche di Andrea Taroppi

Lo spettacolo, interpretato da sei detenute del reparto di alta sicurezza del carcere di Vigevano (le stesse de “L’infanzia dell’alta sicurezza) e sei Agenti di Polizia Penitenziaria dello stesso carcere, racconta dei delitti di sangue a cui queste donne hanno assistito e di come l’abnorme vissuto si sia incestato nei loro corpi.
Mentre nel nostro precedente spettacolo “L’infanzia dell’alta sicurezza” si raccontava il tempo dell’infanzia, il tempo mitico, svelando dall’interno valori, simboli e storie dei contesti familiari della criminalità organizzata, con “Sangue” si svela il “reale” di questi contesti. Il “reale” non è da confondere con la realtà. Anzi. Piuttosto il reale la scompagina.
La realtà è il sonno ristoratore. Il reale l’incubo che sveglia.
E “Sangue” altro non fa che danzare sul pozzo del reale mostrandone la profonda e oscura bellezza. Un luogo dove si acquisisce la consapevolezza che il dolore è il lievito della felicità: “…Io da allora ci penso. Penso seriamente di andare a vivere con mia nuora e mio nipote quando uscirò di galera. Ci penso, anche se è ancora lungo il tempo che mi resta da trascorrere in carcere e sono ormai alle soglie della vecchiaia. Ci penso, anche se pensarci è per me pericoloso, perché mi commuovo e mi sale la pressione e io soffro di pressione alta e di cuore. Ma ci penso anche se mi fa male pensare alla felicità.”

Come nell’Infanzia dell’alta sicurezza, anche “Sangue” nasce dall’ascolto delle storie delle detenute, nessuna delle quali recita la propria. In esso non vi è nulla di giustificatorio, nulla di retorico, ma si tenta di aprire squarci di umanità e produrre poesia in persone e contesti dove la poesia era stata bandita, violentata, cancellata. Il dolore raccontato in “Sangue” sfugge alle analisi sociologiche di genere. Sfugge ad una letteratura di stampo iper realista. È il dolore delle donne Caino di cui nessuno sa niente. E per queste ragioni esso è uno spettacolo di emancipazione sia per chi lo interpreta e sia per il pubblico che vi assiste.

In scena anche sei Agenti di Polizia Penitenziaria. Mentre nell’Infanzia il carcere era per tutte queste donne un orizzonte possibile, in “Sangue” costituisce lo statuto delle storie. È il pozzo che le rende possibili perché esse stesse sono l’acqua del pozzo. Così le sei Agenti le seguiranno sul palco allo stesso modo di quando le scortano nei vari spostamenti fuori dal carcere e le illumineranno con le stesse torce che usano di notte per verificare ogni tre ore che non siano evase o non si siano suicidate. Ma è nell’essere sul palco con le detenute che fa diventare lo spettacolo rivoluzionario, non solo per il significato e il valore che ciò ha nel contesto carcerario, detenute e agenti partecipano ad un progetto comune, ma soprattutto perché la loro luce, pur mostrando la ferita, l’accarezza.

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